Gesù si sposta, si disloca, si fa prossimo ai suoi per trovare uno spazio in cui mettersi davanti a Dio, a tu per tu col Padre suo. E’ il movimento della preghiera autentica, che Getsemani ci ricorda essere, in ultima analisi, non quella dei riti e delle celebrazioni, ma bensì quella di una donna o di un uomo che si collocano, nudi e soli, al cospetto del loro Dio. Era stata questa d’altronde la preghiera lodata, lungo tutto il suo ministero, dal rabbì di Nazaregh, che non aveva alcuna simpatia per l’orazione farisaica di chi in piedi, dinnanzi a tutti, si facesse ammirare dagli altri fedeli in quanto credente ed osservante, pio e religioso. Gesù, verso questa forma di preghiera, che pure da buon israelita aveva praticato, provava una diffidenza mai celata. Per lui pregare significava chiudersi nella piccola stanza, stare con il proprio Dio nella riservatezza e nel nascondimento, e non cercare l’approvazione pubblica dell’assemblea. Come a dire che senza questa dimensione interiore, di verità, senza questa ricerca di relazione col Padre prima di ogni mediazione, affidata al dinamismo del cuore, all’apertura della vita, ogni altra preghiera rischia la mistificazione e la gloria effimera del rito vuoto, del puro “fuori” che annette ed esaurisce il “dentro”, permettendo tra l’altro il delitto senza perdono della preghiera dei mafiosi e dei violenti. Antonio Sichera, Getsemani , 2017
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