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Nell’albero della croce l’uomo può imparare che la condizione umana, nella sua inevitabile creaturalità, ritrova la sua pienezza se si consegna al Padre. Dio si è fatto uomo, per consentire all’uomo di diventare veramente uomo! Nella relazione di Gesù di Nazareth col Padre, ogni uomo può imparare la relazione con il proprio principio. Gli inizi non ci appartengono, questa ferita originale, che ci fa sperimentare l’essere gettati nel mondo come il rischio più assoluto, è la sfida necessaria con la quale ogni uomo deve confrontarsi. L’incompletezza e i limiti drammatici della nostra condizione umana trovano pienezza non nella ribellione o nel delirio narcisistico d’indipendenza, ma nell’umile necessario riconoscersi, nell’intimo della propria esistenza, debitori alla vita, a una donna che la vita ha rischiato per darci la vita, a un padre, a Dio. “Grazie di avermi creata”, canterà Chiara d’Assisi. Senza questa gratitudine esistenziale, ogni relazione con Dio sarà imprecazione o richiesta di salvezza terrena, ogni relazione con l’altro sarà sotto il segno del dominio, dello sfruttamento o dell’accusa (si chiede all’altro di supplire al nostro limite). Gesù di Nazaret, Fratello Maggiore, che del limite si è fatto carico, ha conosciuto la solitudine dell’essere uomo, senza protezione o sconti, rinunciando a ogni privilegio, a ogni pretesa di immunitas. Affrontare la solitudine radicale fa diventare profondamente umani. […] La solitudine estrema (non sentire la presenza del Padre), da dannazione ultima e fondazione drammatica della nostra esistenza, diventerà risignificazione del nostro morire. Ma solo una solitudine accettata trasformerà la morte – sconfitta decisiva, segno ineliminabile e inconvertibile della creaturalità – in morte significativa: una morte che accade nella libertà e nell’amore.

Giovanni Salonia, La valenza formativa del Mistero Pasquale, in XXV di “Mutuae Relationes” Una rilettura a più voci, a cura di P. Vanzan e F. Volpi, Roma 2004, pag. 131

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