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La fragilità è la casa visitata dal suo angelo, è il grembo che Dio feconda con lo Spirito Santo. E ancor più la fragilità, la debolezza, la vulnerabilità sono il modo di vivere ed annunciare il vangelo della carità ai fratelli. La nostra carità è una carità debole. In un certo senso, parafrasando l’antico detto Caro cardo salutis (la carne è il cardine della salvezza) possiamo dire che la debolezza evangelica è il cardine della vita cristiana. La debolezza scelta per il Vangelo è beatitudine, è sapienza, è grazia. Quando parlo di debolezza scelta per il Vangelo parlo di amore anziché odio, di fraternità anziché di fratricidio, onestà anziché ingiustizia, pace al posto della guerra, misericordia al posto della condanna, di rischio di vivere nel dubbio della fede anziché avere la certezza che non esiste nulla. Tutto questo è beatitudine, è grazia, è sapienza. E’ qualcosa che non è facile da comprendere, potremmo dire che vivere nella debolezza dell’amore è una “grazia a caro prezzo”. E’ una beatitudine amara. Vivere nella vulnerabilità della carità può essere una sapienza troppo alta, non sempre comprensibile, per cui – proprio perché non comprendiamo la grandezza di questa debolezza – anziché fare spazio all’amore si fa spazio ad altro.  […] Approfondendo questo tema mi sono imbattuto in un testo che appartiene a un Padre Bianco assassinato in Algeria nel 1996: “La debolezza scelta diventa una spiritualità delle mani vuote dove si capisce che tutto, persino le nostre debolezze, può diventare dono e grazia di Dio, manifestazione della potenza del suo amore, che solo può mutare la debolezza umana in forza spirituale”.

Gaetano La Speme, L’incontro che cura. Gesù, noi, gli ultimi, ed. Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pagg. 90-91 

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